FILANTROPIA E MUTUALISMO, UNA PROSPETTIVA INNOVATIVA SUL WELFARE COMUNITARIO

L’espressione welfare comunitario indica un eterogeneo insieme di iniziative che promuovono il benessere individuale e collettivo, valorizzando risorse inespresse o sottoutilizzate delle collettività di riferimento. Il progetto è intermediato da attori della società civile e può essere ispirato all’approccio:

  • filantropico, che connota l’agire di fondazioni bancarie, di comunità e di impresa, oltre che nell’operare di una pletora di micro-progetti che trovano in una capillare azione di raccolta fondi (crowdfunding) la loro ragione d’essere;
  • mutualistico, il cui tratto distintivo consiste nell’unione solidale per far fronte in modo condiviso ai bisogni primari o – nel caso delle società di mutuo soccorso – socializzare i rischi.

L’interesse verso il welfare comunitario riemerge alla fine degli anni Ottanta, dopo un lungo periodo di latenza determinato dall’emergere e consolidarsi del Welfare State. Grazie alla capacità di proporre il rinnovamento di formule validate dell’esperienza, esso conquista –  in un clima dominato dal paradigma neoliberista e alle prese con la sostenibilità della spesa pubblica – un crescente consenso.

Agli inizi l’intento è quello di ideare e sperimentare risposte ai nuovi rischi sociali o al riacutizzarsi di problemi conclamati, che possano essere recepite dalla pubblica amministrazione come buone pratiche. Complice i crescenti vincoli alla finanza pubblica, l’azione a sostegno dell’efficacia e dell’efficienza delle politiche cede il posto all’impegno nella ricerca dell’autosostenibilità dei progetti.

Sin dalle prime battute le proposte sono ispirate all’emergente paradigma dell’investimento sociale e rivelano una sensibilità verso questioni poco rappresentate nell’agenda pubblica e/o marginali in quella privata:

  • la valorizzazione dei beni collettivi in stato di degrado o confiscati alla criminalità organizzata,
  • la trasmissione generazionale della povertà, i minori stranieri non accompagnati,
  • l’housing sociale e la rigenerazione urbana,
  • l’attivazione o la riattivazione dei Neet,
  • l’occupazione giovanile e l’avviamento al lavoro dei soggetti fragili,
  • l’inclusione dei migranti.

Gli interventi si rivolgono verso bisogni che il mercato non ha convenienza a coprire e lo Stato non riesce ad affrontare per la carenza delle dotazioni di bilancio e la mancanza di competenze; annoverano tra i destinatari soggetti che non riescono ad accedere ai servizi a condizioni di mercato e non rientrano nella filiera di fornitura pubblica, a causa di requisiti reddituali e patrimoniali di poco superiori alle soglie stabilite.

Il welfare comunitario punta a essere generativo, ovvero a produrre ritorni sociali e rendimenti economicamente rilevanti. Laddove la natura dell’intervento non renda possibile immaginare di conseguire un profitto grazie a una gestione imprenditoriale dell’offerta di servizi alla persona, il destinatario della prestazione è chiamato a restituire quanto ricevuto attraverso la donazione del proprio tempo o la testimonianza. La sua formula riscopre il ruolo delle reti di prossimità, alimentando la collaborazione, la solidarietà e il senso di appartenenza, in vista di creare le condizioni per l’aggregazione della domanda e dell’offerta o il mutuo-aiuto.

Nella consapevolezza della difficoltà per una singola organizzazione di incidere sulle sfide sociali contemporanee, i protagonisti del welfare comunitario richiamano l’attenzione sulla ricerca di impatto, ovvero sulla produzione di un cambiamento strutturale delle modalità di gestione dei problemi, capace di aumentare i livelli di resilienza del sistema sociale. Promuovere la formazione e la crescita di ecosistemi è pertanto una linea di impegno distintiva che porta a cercare alleanze con il pilastro municipale e con quello aziendale, nonché a creare coalizioni strategiche multi-livello ed intersettoriali che possono contemplare collaborazioni anche con partner internazionali.

Se principale punto di forza della proposta è la promozione dell’innovazione sociale, un elemento di debolezza strutturale è riscontrabile nel rischio che gli eterogenei livelli di ricchezza e la differente propensione alla partecipazione civica dei territori rafforzino le fonti di diseguaglianza (dualismo territoriale). Per evitare questa deriva, numerosi progetti – sulla falsariga dell’esperienza di Fondazione con il Sud – hanno immaginato meccanismi capitalizzazione e azioni di potenziamento delle capacità istituzionali delle aree deprivate. Un ambizioso programma di infrastrutturazione sociale, i cui fattori abilitanti sono individuati:

  • nella finanza di impatto,
  • nel fundraising,
  • nell’innovazione organizzativa e gestionale,
  • nella cultura della valutazione,
  • nella comunicazione strategica.

Nonostante una crescente quota di risorse (economico-finanziarie, progettuali, conoscitive…) del nuovo welfare siano correlate a iniziative comunitarie, l’attuale configurazione del fenomeno è ancora poco studiata: i contributi sono strutturati come studi di caso e faticano a mettere in luce il disegno e le potenzialità della proposta. Le organizzazioni che si riconoscono nella prospettiva investono pertanto copiosamente in una riflessione indipendente, finalizzata ad alimentare il dibattito pubblico e formalizzare i termini di un’assunzione di responsabilità che certo non mancherà di dare i suoi frutti.

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