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LA SVOLTA COLLABORATIVA NEL WELFARE LOCALE

Co-programmazione e co-progettazione come possibili strumenti di un welfare responsabile

Il triennio segnato drammaticamente dalla pandemia da COVID-19 potrò forse essere ricordato anche come il periodo della “svolta collaborativa” nell’ambito del welfare locale.

La premessa a questa svolta è in realtà precedente ed è rinvenibile nel Codice del Terzo Settore (Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117): all’articolo 55 si legge infatti che: “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia  organizzativa  e regolamentare, le amministrazioni pubbliche […] nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5 [l’articolo del Codice che precisa cosa si debba intendere con il concetto di “attività di interesse generale, ndr], assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo  settore,   attraverso   forme    di    co-programmazione    e co-progettazione e accreditamento […]”.

Il Codice del Terzo settore alla prova dei fatti

Questo importante articolo è stato giustamente salutato come un salto di qualità nelle relazioni tra pubblico e privato sociale, capace di aprire la strada a forme partenariali più nette e coinvolgenti, superando i modelli competitivi (appalto di servizi e “quasi mercati”) che hanno dominato l’arena del welfare territoriale a partire dagli anni Novanta. Eppure, le pur rare analisi empiriche effettuate non hanno mostrato segnali incoraggianti: anche là dove le Pubbliche amministrazioni hanno utilizzato la parola co-progettazione (molto più rara è invece la co-programmazione), nei fatti si è sempre ricorso a una modalità di tipo competitivo, principalmente in ragione del timore di ricadere sotto la “tagliola” dell’Autorità anti corruzione (ANAC), più volte intervenuta per richiamare l’applicazione del Codice degli appalti.

La svolta della Corte Costituzionale

La “svolta collaborativa” (almeno potenziale) giunge nel 2020, allorché la Corte Costituzionale (interrogata sul tema dalla Regione Umbria) ha posto con la sentenza 131 un mattone definitivo per l’edificazione del nuovo edificio programmatorio.

Si legge nella sentenza: “L’art. 55 del Codice del terzo settore, disciplinando i rapporti tra enti del terzo settore (ETS) e pubbliche amministrazioni, rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale. Esso pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, progettazione e organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dal medesimo CTS. Rappresentativi della “società solidale”, gli ETS costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico preziosi dati informativi e un’importante capacità organizzativa e di intervento, con risparmio di risorse e aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della “società del bisogno”».

Dalla competizione alla collaborazione

Siamo dunque di fronte a una definitiva affermazione di principio, che conferisce priorità alle forme collaborative rispetto a quelle competitive nella programmazione e nella progettazione degli interventi e dei servizi territoriali (di welfare ma non soltanto). Si tratta ora di verificarne l’effettiva applicazione nelle prassi territoriali, sapendo che si tratterà di un processo lungo e tutto da costruire (come ha notato ad esempio Luca Fazzi[1] in una sua prima ricognizione empirica). Rimanendo sul piano della riflessione teorica, è possibile sin d’ora domandarsi se e a quali condizioni questa “svolta” possa prefigurarsi come un passo avanti compatibile con quanto previsto dal modello del “welfare responsabile”.

Quale ruolo per il welfare responsabile?

Certamente co-programmazione e ancora di più co-progettazione richiedono una logica di “attivazione capacitante”, proprio perché finalizzate a “mobilitare, attivare e potenziare le risorse, le competenze, le abilità e le conoscenze di ogni attore coinvolto” (Cesareo e Pavesi, 2019: 26). Ancora, le logiche coprogrammatorie e coprogettuali, se correttamente intese, sembrano fuoriuscire in modo deciso da paradigmi Principale-Agente e da forme di regolamentazione predefinita, generando in modo ogni volta “sperimentale” (e attraverso forme di governance che per definizione dovrebbero essere partecipative) e processuale il campo di gioco e degli attori, esattamente come prevede la costruzione responsabile di uno “spazio sociale di prossimità”.

Un nuovo spazio per l’integrazione

Altrettanto evidente è la compatibilità con la logica di “integrazione condivisa”, in cui le dinamiche collaborative e di rete risultano centrali. Anche se non sembrano ancora maturate le condizioni per allargare lo spazio della co-progettazione anche ai soggetti profit (per esempio alle aziende che dispongono di un piano di welfare aperto al territorio, soprattutto all’interno di quadri di contrattazione territoriale): oggi le logiche collaborative sono ancora interne alla diade PA – Terzo settore (welfare municipale e welfare comunitario), mentre è plausibile immaginarne uno spazio di ampliamento anche al di fuori di questa coppia di soggetti.

Così come ancora del tutto inesplorate sono le possibilità che lo strumento collaborativo potrebbe aprire connettendo in modo più stretto il livello meso (quello delle forme di welfare come le abbiamo prima individuate) con il livello micro, là dove sul piano teorico (ma non ancora su quello empirico) appare plausibile un coinvolgimento ampio della società anche nelle sue forme meno organizzate e di cittadinanza attiva. Insomma, lo spazio per la sperimentazione è ancora molto ampio.

[1] Fazzi L. (2022), Sussidairietà e coprogettazione: un legame implicito o ancora da costruire, in “Impresa Sociale”, 4: 69-75).

Immagine di Freepik

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