Con l’obiettivo di approfondire anche dal punto di vista teorico le tematiche relative al welfare e alla responsabilità, pubblichiamo un intervento di Ennio Codini (ndr).
A proposito della “responsabilità” ai tempi del Covid-19 (prima parte)
Con riguardo all’epidemia di Covid-19 si è parlato e ancora si parla spesso, descrittivamente o prescrittivamente, di comportamenti responsabili o irresponsabili e, prima ancora, di un senso di responsabilità quale modo d’essere, esistente o desiderato, degli individui e della società.
Non è difficile, invero, comprendere che cosa si intende in tali discorsi per “responsabilità”. Il significato è quello che ritroviamo ad esempio ne Il principio responsabilità (Das Prinzip Verantwortung) di Hans Jonas dove, lungo la linea indicata da Weber, l’agire è “responsabile” se tiene conto delle conseguenze con uno sguardo il più possibile ampio nello spazio e nel tempo. La responsabilità così intesa è l’elemento costitutivo di un particolare approccio etico per il quale si parla di “etica della responsabilità” (Verantwortungsethik in Weber).
Responsabilità e sanzione nel diritto
Ciò premesso, proponendo queste pagine un punto di vista giuridico va subito sottolineato che il passaggio dal piano dell’etica della responsabilità a quello del diritto richiede attenzione anzitutto sul piano concettuale.
Nel linguaggio giuridico non si parla di comportamenti responsabili e quando si parla di responsabilità il riferimento diretto non è in generale alle conseguenze dell’agire come nel caso dell’etica della responsabilità, ma solo alle sanzioni eventualmente previste dal diritto per chi ha agito in un certo modo.
Invero, anche riflettendo sulla responsabilità in senso giuridico si può veder emergere una rilevanza delle conseguenze in generale del comportamento, nel senso che la responsabilità è prevista perché il soggetto agendo in un certo modo ha prodotto effetti giudicati negativi: Tizio ad esempio viene condannato a pagare una sanzione di diecimila euro perché immettendo sostanze tossiche in un lago ha prodotto quello che appare un grave danno ambientale. Ma si noti: il fatto che il diritto preveda una sanzione, ossia una responsabilità in senso giuridico, non deriva certo automaticamente dell’esistenza di un comportamento rispetto al quale si ravvisano conseguenze negative.
Il diritto seleziona: se anche consideriamo comportamenti comunemente ritenuti nocivi, vediamo che ad alcuni di essi corrisponde responsabilità in senso giuridico, ad altri no. Se ad esempio Tizio non denuncia alle autorità crimini di cui viene a conoscenza si è comunemente portati a pensare che ciò produca conseguenze negative ma, per varie ragioni, nel nostro ordinamento non sono previste in generale a riguardo sanzioni, potremo dunque parlare in relazione a ciò di un comportamento irresponsabile secondo l’etica della responsabilità, ma non di una responsabilità in senso giuridico.
Le indicazioni etiche delle autorità quale presupposto del passaggio dall’etica al diritto nell’emergenza
Un aspetto importante, in particolare per una riflessione di tipo giuridico, dei discorsi proposti con riguardo all’epidemia di Covid-19 circa comportamenti responsabili o irresponsabili riguarda la provenienza di molti di essi. Di fronte al diffondersi della Covid-19 è emerso un singolare atteggiamento delle autorità civili che hanno individuato determinate condotte – più o meno le stesse per tutte le autorità, ad esempio: non uscire dalla propria abitazione se non per necessità, mantenere comunque all’esterno un dato “distanziamento” – come idonee a ridurre la diffusione della malattia e in relazione a ciò le hanno proposte alla popolazione come da tenersi in nome di un’etica della responsabilità.
Il dato va sottolineato per la sua singolarità e per il suo essere il punto di passaggio dall’etica al diritto, dato il ruolo del diritto quale tipico strumento delle autorità.
Quanto alla singolarità, va osservato che nella la tradizione dello stato liberale c’è l’idea che lo stato non dovrebbe proporre una “sua” etica; e ordinariamente gli stati liberali si sono astenuti dal farlo. Il fatto che lo Stato italiano, come altri pur di tipo liberale, si sia discostato da tale orientamento teorico-pratico nel contesto dell’epidemia appare perciò meritevole di riflessione.
Ma non lo si farà in questa sede, al di là di tre notazioni. La prima è che se consideriamo la storia degli stati liberali vediamo che in buona misura le eccezioni alla regola secondo cui lo stato “non fa discorsi etici” si sono legate a tempi di guerra sicché la scelta di farli nel contesto dell’epidemia di Covid-19 può se non giustificarsi almeno in parte spiegarsi considerando che tale epidemia è stata vissuta come una sorta di guerra. La seconda è che per lo meno in Italia si ravvisa da tempo un trend secondo cui lo Stato sempre più si fa promotore di determinati approcci etici – ad esempio a proposito dell’uso di alcolici – sicché, da questo punto di vista, gli insistenti riferimenti all’etica a proposito dell’epidemia possono apparire sviluppi di un’evoluzione in atto, il che in parte li spiega anche se certo di per sé non li giustifica. La terza notazione è che, in questo caso, la posizione etica dei governi è stata presentata come legittimata dalla scienza.
Dagli appelli alla responsabilità alla previsione di sanzioni: uno scenario non uniforme
In una riflessione di tipo giuridico come questa quel che più conta comunque è il fatto che le indicazioni etiche proposte dalle autorità civili sono state una sorta di punto di passaggio dall’etica al diritto. In effetti, la cosa può apparire di primo acchito così naturale da non meritare particolare considerazione.
Perché, se è vero, come è vero, che, diversamente dagli appelli etici, il diritto è un tipico strumento dello stato, e anche dello stato liberale, può apparire ovvio che all’evocazione in qualche modo anomala di un’etica della responsabilità lo Stato italiano abbia fatto seguire l’utilizzo, con riguardo agli stessi comportamenti e con gli stessi fini, dello strumento suo proprio ossia del diritto con le sue forme di responsabilità.
Va però osservato quanto segue. Premesso che, come già accennato, nel contesto dell’epidemia di Covid-19 non solo lo Stato italiano ma anche altri hanno proposto alla popolazione una “propria” etica, gli sviluppi sul piano giuridico di questi discorsi pubblici sono però stati assai variabili: in Giappone, ad esempio, o in Svezia, non sono state previste sanzioni, ossia forme di responsabilità in senso giuridico, per chi si fosse comportato diversamente; in Italia invece come anche ad esempio in Cina siffatte sanzioni sono state previste.
In relazione a ciò, possono invero svilupparsi molte riflessioni e considerazioni.
Una non uniformità controversa
Si può anzitutto, e non pochi l’hanno fatto, giudicare la differenza di cui sopra in quanto tale. Alcuni, ad esempio, l’hanno censurata sulla base dell’assunto secondo cui, anche da questo punto di vista, di fronte a un’emergenza globale sarebbe stata preferibile una risposta uniforme sul piano giuridico almeno da parte di quelle autorità che condividevano lo stesso approccio “etico” a proposito della valutazione di determinati comportamenti.
Nel retroterra della censura possiamo vedere posizioni a priori favorevoli allo sviluppo di un governo globale-uniforme; e poi possiamo vedere anche preoccupazioni specifiche per “differenze” percepite come in vario modo “minacciose”, ad esempio: se “noi” prevediamo sanzioni, chi non le prevede mette per ciò solo in discussione la bontà del nostro modello, e poi potrebbe attrarre investimenti attirati dai minori vincoli legali, e poi potrebbe con tale suo approccio determinare un maggior sviluppo dell’epidemia nel “suo” contesto, un maggior sviluppo che a sua volta potrebbe, per l’interconnessione tra i paesi, colpire anche noi addirittura vanificando i “nostri” sacrifici.
Sono peraltro possibili anche argomentazioni di segno opposto: la differenza di approccio può essere vista come la naturale conseguenza di situazioni diverse (non essendo vero che l’epidemia ha colpito tutti allo stesso modo) o comunque di un diverso orientamento politico dei popoli e dunque dei governi a proposito del ricorso al diritto, sicché un suo superamento potrebbe mettere in discussione il rapporto vitale tra governati e governanti; tale differenza, inoltre, in un contesto di obiettiva incertezza sul “che fare” determinata in particolare dalla relativa novità della pandemia può apparire di per sé un valore dando luogo a esperienze diverse e a posteriori confrontabili nei risultati con una crescita delle conoscenze che l’uniformità per sua natura non garantirebbe.
Vincoli o fiducia?
Ci si può poi più specificamente interrogare sulla ratio del ricorso maggiore o minore o nullo alla responsabilità in senso giuridico. Perché alcuni paesi hanno abbinato agli appelli alla responsabilità in senso etico sanzioni previste dal diritto per i comportamenti “non responsabili” mentre altri non l’hanno fatto?
La questione è complessa. In alcuni casi ha avuto un certo peso la presenza di vincoli di tipo costituzionale a proposito della possibilità per il potere di limitare la libertà degli individui; così ad esempio nel caso del Giappone la cui Costituzione, per ben note ragioni storiche, pone limiti molto forti alla possibilità per lo Stato di “vincolare” gli individui.
Ha avuto poi un certo peso il rapporto tra autorità e società nel senso che dove, come in Svezia, la società ha molta fiducia nei governanti è parso a questi ultimi poco opportuno “rafforzare” gli appelli a tenere determinati comportamenti con la previsione di sanzioni per i trasgressori.
La sanzione tra costi ed eccessi
Perché è chiaro: quando, come nel caso dei comportamenti di cui trattasi, non è essenziale rispetto all’obbiettivo che tutti li adottino costantemente ma solo che essi siano per lo più seguiti, non ha senso chiamare in causa il diritto con le sue forme di responsabilità se si ritiene che per lo più i comportamenti individuali saranno spontaneamente in linea, perché l’impiego del diritto costa.
Le regole vanno scritte in modo rigoroso e chiaro (e non è facile, oggi soprattutto in Italia come ha mostrato emblematicamente la tragicomica vicenda dei “congiunti”) e poi vanno fatte rispettare rigorosamente con i relativi costi in termini di impegno della pubblica sicurezza (basti pensare a tutti i posti di blocco che si sono realizzati in Italia nel periodo aprile-maggio e al loro apparire spesso comunque troppo pochi) e della magistratura (quanto ci costeranno, se mai ci saranno, tutti i processi penali relativi ai comportamenti trasgressivi talora accompagnanti da dichiarazioni mendaci in materia di spostamenti non consentiti?) e anche in termini di eccesso nella sanzione (le cronache ci hanno invero proposto molti esempi di sanzioni abnormi spesso a carico di soggetti “deboli”).
Ma queste sono solo prime osservazioni, molte altre andrebbero fatte a questo proposito e poi con riguardo ad altri aspetti del complesso rapporto realizzatosi nel contesto dell’epidemia di Covid-19 tra etica della responsabilità e diritto anche guardando più specificamente alla prospettiva del Welfare responsabile. Perciò si è qualificato questo intervento come “prima parte”.
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