Con l’obiettivo di approfondire anche dal punto di vista teorico le tematiche relativo al welfare e alla responsabilità, pubblichiamo un intervento di Italo Vaccarini.
Nei classici della sociologia la responsabilità ha uno status teorico latente, poiché è scarsamente esplicitata come tale e si trova invece incorporata nella varietà dei concetti in cui si articolano le teorie dell’azione sociale. Ciò si spiega con il fatto che la responsabilità concerne le conseguenze dell’azione; e le conseguenze costituiscono un elemento dell’azione sociale per lo più trascurato dalla sociologia classica. Lo attesta la teoria paradigmatica dell’azione sociale, quella di Talcott Parsons, che include come componenti della struttura dell’azione l’attore, i mezzi, le condizioni, lo scopo e l’orientamento normativo dell’azione, ma ignora le conseguenze dell’azione stessa. Per un’organica valorizzazione analitica delle conseguenze dell’agire umano, che costituisce il presupposto per la messa a tema della responsabilità, occorre attendere il tardo Novecento. In quest’epoca il pensiero sociologico, influenzato dalla sempre più diffusa percezione dei “grandi rischi” che insidiano il progresso, sposta il fuoco dell’attenzione dallo scopo dell’agire sociale alle conseguenze di questo agire. Conseguenze che i “grandi rischi” rendono problematiche. Delineiamo sommariamente le espressioni teoriche riconducibili alla nozione sociologica di responsabilità.
La visione tradizionale
Nella tradizione sociologica il concetto di responsabilità compare nella teoria dell’azione di Max Weber e in un saggio filosofico con valenze sociologiche di Hans Jonas; e figura in modo meno diretto nella teoria dell’”azione fatale” di Erwin Goffman. Inoltre una corrente contemporanea del pensiero sociologico, la sociologia del rischio, valorizza la nozione di responsabilità per il tramite della teorizzazione del rischio, in base all’assunto che la responsabilità è connaturata al rischio, più specificamente all’assunzione del rischio. Ulrich Beck e Niklas Luhmann sono gli esponenti più autorevoli di questa corrente sociologica: ci limiteremo a richiamare alcuni aspetti peculiari del contributo di Luhmann alla sociologia del rischio. Infine, la categoria sociologica di responsabilità ha una rilevanza centrale nell’impianto teorico di un testo iscrivibile nella sociologia della persona (Cesareo e Vaccarini, 2006). Quest’ultimo approccio alla responsabilità è stato applicato nell’ambito tematico del Welfare con l’elaborazione, tuttora in progress, di un “Welfare responsabile” (Cesareo e Nicoletta, 2019). Illustriamo le dette declinazioni del concetto sociologico di responsabilità.
Weber, in La politica come professione, oppone l’etica della responsabilità all’etica della convinzione: “ogni agire orientato in senso etico può essere ricondotto a due massime fondamentali diverse l’una dall’altra e inconciliabilmente opposte: può cioè orientarsi nel senso di un’”etica dei principi” oppure di una ‘etica della responsabilità’ ” (Weber, 1994: 121). Egli interpreta questa dicotomia in modo radicale: colui che agisce secondo l’etica dei principi abbraccia una causa con rigore assoluto, attenendosi alla massima fiat justitia, pereat mundus. Questo orientamento implica la noncuranza di tutte le conseguenze dell’azione al di fuori della sua riuscita, nonché la considerazione che nessun prezzo dell’azione è troppo elevato, incluso il rischio del fallimento dell’azione stessa. Per contro colui che agisce secondo l’etica della responsabilità pondera le conseguenze, i costi, i mezzi e le chances dell’azione; si fa cioè carico dell’intero contesto situazionale dell’azione. La rilevanza analitica della dicotomia agire secondo i principi-agire secondo la responsabilità deriva dall’appartenenza al nucleo della teoria weberiana dell’agire sociale; infatti quella dicotomia si presenta congruente con una dicotomia ancora più fondamentale della sociologia di Weber, formulata in Economia e società: quella tra agire razionale rispetto al valore – che è congruente con l’etica dei principi – e agire razionale rispetto allo scopo – che è congruente con l’etica della responsabilità.
L’età del rischio
Jonas (1979) tratta il tema della responsabilità in tutta la sua estensione e virtuale illimitatezza, quale si rivela nell’epoca contemporanea della tarda modernità. Il contributo di Jonas si prefigge, infatti, come scopo la giustificazione e l’articolazione di un’etica globale, appropriata alla civiltà tecnologica nella quale l’uomo ha conseguito il potere di dominare la natura. Invero, il successo della tecnica, se viene sottratto al controllo etico, costituisce un sintomo allarmante di hybris, che minaccia il singolo individuo, l’intera specie umana e più complessivamente la natura. L’uomo diventa in tal modo un pericolo per la natura; in tal modo la tecnica di cui si avvale perde l’innocenza e la neutralità. Si prospetta pertanto un imperativo culturale e sociale necessario e urgente: ricomprendere la tecnica e la natura nell’oggetto dell’etica. Un’etica della responsabilità.
La tecnica moderna presenta due aspetti che concorrono a definire l’orizzonte operativo dell’etica della responsabilità. In primo luogo, un dinamismo totalizzante, che si manifesta nella irresistibilità degli imperativi tecnologici e nella globalità, tanto spaziale quanto temporale, delle sue conseguenze, che includono l’intero globo terrestre e il futuro più remoto. In secondo luogo, l’ambivalenza etica di dette conseguenze, in quanto generano sia benefici che danni, entrambi di portata potenzialmente smisurata. Questa costitutiva ambivalenza conferisce alla tecnica la caratteristica della rischiosità: anche quando viene impiegata per il raggiungimento di finalità etiche e lodevoli, quella rischiosità permane elevata e, nel caso dei grandi rischi che minacciano la vita sul nostro pianeta, diventa “totale”. All’ambivalenza etica sul piano della tecnica corrisponde un’ambivalenza etica sul piano antropologico: l’uomo è contemporaneamente homo creator, soggetto produttore di una natura artificiale, e homo materia, oggetto delle manipolazioni illimitate dell’ingegneria genetica, miranti a controllare geneticamente l’umanità futura. Il rischio di schiavizzazione di massa e di distruzione in cui si trovano l’uomo e la natura nell’era tecnologica impongono l’imperativo etico della disponibilità a favorire la vita. Secondo Jonas il senso di responsabilità costituisce l’espressione di questa disponibilità.
I tipi più emblematici di responsabilità sono: in primo luogo, la responsabilità archetipa e originaria inerente alle cure genitoriali e parentali, che si rivolgono alla vita dalle sue fasi iniziali, nelle quali essa è più bisognosa di cure a causa della sua indigenza e vulnerabilità. In secondo luogo, la responsabilità generalizzata dell’uomo di Stato, nel quale si compie il passaggio dalla cura per l’esistenza individuale alla cura per la sicurezza e per il benessere collettivi. Questo secondo tipo di responsabilità presenta nella civiltà della tecnica una specifica fisionomia, che si pone in antitesi al tipo di responsabilità caratteristico dell’era pretecnologica. In tale epoca l’etica della responsabilità è circoscritta alle antiche norme di etica del prossimo, che sono commisurate al raggio delle interazioni del mondo della vita quotidiana. Queste norme, nell’era della tecnica, si rivelano insufficienti e devono pertanto essere integrate e trascese nel nome di un’etica della responsabilità commisurata ad un oggetto etico di tipo inedito: la biosfera. Questa etica della responsabilità si condensa in due massime: “agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra e non distruggano le possibilità future di vita”, “includi nella tua scelta attuale e assumi come oggetto della tua volontà il futuro dell’uomo nella sua integrità”.
Goffman (1977) delinea uno schema di azione sociale, designata “azione fatale”, che assegna un ruolo strategico all’elemento della responsabilità. La struttura dell’azione fatale combina due attributi: la problematicità e la consequenzialità. La problematicità denota la non predeterminabilità del risultato dell’azione, nel senso che dalla prospettiva di colui che agisce il futuro si presenta come una scommessa. La consequenzialità denota: “la capacità del risultato dell’azione di andare oltre quelli che sono i confini dell’occasione in cui essa viene determinata e di esercitare un’influenza sul resto della vita di colui che scommette”, (Ivi: 181). L’azione fatale teorizzata da Goffman è pertanto interpretabile come un esercizio congiunto e inscindibile di libertà – che si manifesta nella non predeterminabilità dell’esito dell’azione – e di responsabilità – che si manifesta nella consequenzialità di questo esito.
Luhmann (1966) tratta il tema della responsabilità sub specie di rischio. Questo tema viene articolato in una serie di temi settoriali: la distinzione tra rischio – imputabile all’uomo e pertanto fonte di responsabilità – e pericolo – imputabile alla natura e pertanto esonerante da responsabilità; l’interazione delle tematiche del rischio con le tematiche della sicurezza, la distinzione tra i decisori e coloro che sono coinvolti in decisioni altrui, il problema dell’attribuzione delle responsabilità per danni di grandi dimensioni e di lunga durata, che non possono essere univocamente attribuite a decisioni singole; il tema della prevenzione del rischio. Ma soprattutto, l’opera di Luhmann si segnala per un peculiare profilo teorico: egli muove dall’assunto che la normalità, la regolarità delle condotte sociali è sempre precaria e costellata da significative interruzioni non previste. Nelle società tradizionali queste interruzioni venivano percepite come disgrazie, come tali spiegabili con la religione e/o la magia. La società moderna invece cerca di cogliere le disgrazie sotto forma di rischi. Mentre le disgrazie sono attribuibili a forze sulle quali l’uomo non può esercitare un controllo, i rischi sono il prodotto di decisioni umane e come tali sono in varia misura controllabili, comunque sono influenzabili, dall’uomo. I rischi si concretizzano in danni, che costituiscono conseguenze non intenzionali e collaterali di decisioni. Tali conseguenze non sono tuttavia compiutamente controllabili dall’uomo, in quanto sono incerte, essendo ubicate nel futuro, il quale è intrinsecamente incerto.
Nell’era della tecnica l’uomo percepisce tipicamente il rischio nel medium delle probabilità. A tal proposito Luhmann distingue due approcci al rischio. L’approccio convenzionale dell’uomo comune inserito nel mondo della vita quotidiana, che si occupa solitamente di probabilità di media frequenza senza curarsi di ciò che è molto improbabile. E l’approccio riflessivo, culturalmente consapevole, che mette invece a fuoco la possibilità di eventi improbabili e catastrofici. Questi due approcci al rischio convergono nella presa d’atto che l’assunzione del calcolo delle probabilità a fondamento delle decisioni non riesce nell’intento di ottenere un consenso generalizzato, poiché il futuro, anche quello che dipende dalle nostre decisioni, non può essere conosciuto. Pertanto la possibilità del verificarsi di eventi catastrofici non può essere esorcizzata. Conclusione: la rischiosità pervasiva della tecnica, che qualifica le nostre società come “società del rischio” (Beck), dilata a dismisura il fabbisogno sociale di responsabilità.
Sociologia della persona e concetto di responsabilità
I testi di Cesareo e Vaccarini (2006 e 2009) pongono le basi teoriche su cui s’innesta la formulazione e l’articolazione del “Welfare responsabile”.
Questo approccio sociologico rappresenta una declinazione della sociologia della persona, che si snoda in una sequenza a quattro stadi: l’illustrazione della nozione sociologica della persona, lo scenario teorico del costruzionismo umanista, la categoria di homo civicus, la declinazione di una peculiare versione di Welfare: il “Welfare responsabile”.
Ora, la responsabilità è inerente a ciascuno degli stadi di questa sequenza concettuale. Nel primo stadio la responsabilità si precisa come assunzione dei vincoli temporale e spaziale che ineriscono ai due attributi fondamentali della persona: rispettivamente, la storicità e la relazionalità. Nel secondo stadio, costituito dal costruzionismo umanista, la responsabilità è una prerogativa dell’attore sociale, focalizzato nella sua soggettività; questa si manifesta sia nel confronto dialettico con l’oggettività della struttura sociale sovrastante il soggetto stesso, sia nella ricostruzione sistematica di quella stessa oggettività sociale. Nel terzo stadio, costituito dall’homo civicus, la sociologia della persona dispiega compiutamente le sue potenzialità: infatti l’homo civicus presenta una triplice caratterizzazione: la riflessività, il sentimento della propria originalità e – elemento il più emblematico del volontarismo dell’azione, proprio di questo tipo di homo – la capacità di compiere scelte autonome-e-responsabili. Nel quarto stadio, il Welfare responsabile, la responsabilità è una dimensione fondante e pervasiva; due dimensioni basilari del Welfare responsabile, la mobilitazione delle potenzialità delle persone coinvolte e l’attivazione capacitante, articolano nel modo più immediato l’elemento della responsabilità.
Bibliografia
- Beck, La sociologia del rischio, verso una seconda modernità, Carrocci, Roma 2000
- Cesareo, N. Pavesi (a cura di), Il Welfare responsabile alla prova, Vita e Pensiero, Milano 2019
- Cesareo, I. Vaccarini, La libertà responsabile, Vita e Pensiero, Milan 2006
- Cesareo, I. Vaccarini, La libertà responsabile: una discussione, Vita e Pensiero, Milano 2009
- Goffman, Where the Action Is, Il Mulino, Bologna 1977
- Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1979
- Luhmann, Sociologia del rischio, Mondadori, Milano 1966
- Parsons, La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, Bologna 1987
- Weber, Economia e società, Comunità, Milano 1962
- Weber, La politica come professione, Mondadori, Milano 1994
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