LA “CRISI” DELLA RESPONSABILITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO DI ULRICH BECK

Il dibattito avviato sul tema della responsabilità come concetto sociologico (ma non solo) si arricchisce di una nuova riflessione. Paolo Iagulli, sociologo, docente all’Università del Molise, risponde ad alcune sollecitazioni sollevate dal contributo di Italo Vaccarini.

Questo intervento si pone in continuità con quello di Italo Vaccarini ospitato su queste stesse pagine. In modo molto puntuale, egli rileva come solo nel tardo Novecento la categoria di responsabilità sia diventata meno latente e più esplicitamente presente nel pensiero sociologico, connettendo ciò alla sempre più diffusa percezione dei “grandi rischi” legati al progresso, in particolare tecnologico.

Dopo aver ricordato il fondamentale contributo al tema di Hans Jonas (col suo Il principio responsabilità, giustamente definito un saggio filosofico con valenze sociologiche) e di Niklas Luhmann, Vaccarini accenna alla nozione di “società del rischio” di Ulrich Beck contenuta nel “classico contemporaneo” La società del rischio. Verso una seconda modernità senza però fornire approfondimenti circa il tema della responsabilità sviluppato in quel testo. In effetti, tale concetto non segna la riflessione sociologica beckiana come invece avviene, ad esempio, per un altro classico contemporaneo quale Zygmund Bauman (cfr. Leccardi 2000).

Tuttavia, esso è presente: scopo di queste note è quello di evidenziarlo. Del resto, in linea generale, dal momento che non è più possibile pensare la scienza e la tecnologia come affidabili e/o sicure alleate contro l’incertezza, rendendosi anzi necessaria un’“etica della misura” orientata dalla prudenza e dall’accettazione del limite, la dimensione della responsabilità è destinata a diventare sempre più cruciale (cfr. ivi, p. 158).

La riflessione di Ulrich Beck sul rischio

Naturalmente, non può essere questa la sede per una ricognizione della “sociologia del rischio” di Beck, e tantomeno della sua più generale riflessione[1]. È sufficiente qui ricordare, anzitutto, che essa può essere più adeguatamente compresa se ricondotta a quel filone di pensiero “diagnostico” la cui intuizione fondamentale può riassumersi con la formula del mondo fuori controllo: presente già in Simmel e Weber con le immagini, rispettivamente, della progressiva divaricazione tra uno “spirito soggettivo” e uno “spirito oggettivo” e della “gabbia d’acciaio”, che esprimono la difficoltà, se non l’impossibilità, per l’uomo moderno di controllare la crescente complessità della realtà sociale, che pure a lui si deve, e quindi la sua “costrizione” a vivere secondo modalità e forme che egli non ha scelto, tale motivo teorico sarà ripreso, come è noto, da molti altri studiosi.

Pensiamo, ad esempio, al Freud de Il disagio della civiltà e a Horkheimer e Adorno della Dialettica dell’Illuminismo (cfr. Privitera 2009, pp. 51-52): «la macchina ha gettato a terra il conducente, e corre cieca nello spazio. Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida» (Horkheimer 1969, p. 113). Per la verità, se sul terreno della diagnosi Beck è fondamentalmente riconducibile a tale impianto riflessivo, su quello della prognosi egli mostra minore pessimismo (cfr. Privitera 2009, p. 67), prendendo le distanze da visioni apocalittiche sul destino della società moderna e ponendo, semmai, l’accento sulle ambivalenze di quest’ultima (cfr. Privitera 2004, p. 29). Egli concepisce, infatti, «l’idea del mondo fuori controllo come un problema cui gli attori sociali possono reagire e, di fatto, reagiscono» (Privitera 2009, p. 55). In questa cornice, per Beck, la società del rischio appare, più che un mondo incontrollabile, «un mondo perennemente sull’orlo della incontrollabilità, in un quadro conflittuale in cui gli attori sociali intervengono con non scarse possibilità di influire sul corso degli eventi» (ibidem).

Ma cosa è, dunque, per Beck, la “società del rischio”? Essa è la società industriale odierna (La società del rischio. Verso una seconda modernità, che costituisce la base fondamentale per una parte significativa dei suoi studi successivi[2], è del 1986) che, caratterizzata da profonde trasformazioni tecnologiche ed economiche, nel suo chiaro orientamento a produrre ricchezza, produce anche dei rischi, innanzitutto ambientali, ma non solo: tra gli altri ambiti tematizzati dal sociologo tedesco ricordiamo la finanza internazionale e il terrorismo.

Naturalmente, gli uomini di ogni tempo hanno conosciuto rischi, e pericoli, nel corso della loro vita. Ma quelli di cui parla Beck, connessi in particolare al carattere complesso e non sempre controllabile delle tecnologie moderne, sono rischi qualitativamente “nuovi”: egli non si riferisce infatti ai rischi che ciascuno di noi decide di affrontare quotidianamente in conseguenza di scelte personali consapevoli, bensì a «fenomeni connessi all’industrialismo, quindi creati dall’uomo, ma che si producono indipendentemente dalla sua volontà. […] [S]i tratta di rischi legati a effetti collaterali, conseguenze non previste del modello di crescita dell’industrialismo» (Privitera 2009, p. 46).

Beck parla anzi al riguardo di “ascrittività del rischio” e di “destino del rischio” in seno alla nostra civiltà (industriale): «i rischi […] si insinuano ovunque silenziosamente e indipendentemente dalla libera (!) scelta» (Beck 2000, p. 53). Si tratta di rischi, per lo più, non direttamente percepibili, globali e «localizzati nella sfera delle formule chimiche e fisiche (si pensi [per fare solo due esempi] alle sostanze tossiche negli alimenti o al pericolo atomico)» (ivi, p. 28). Tuttavia, per Beck «[i] rischi non equivalgono alla distruzione […]. Il concetto di rischio caratterizza […] uno stadio particolare, intermedio tra la sicurezza e la distruzione, dove la percezione dei rischi minacciati determina pensieri e azioni» (ivi, p. 327).

Il nesso tra rischio e responsabilità

E la responsabilità in tale “società del rischio”? Naturalmente, pur senza fornire, come anticipato, particolari o sistematici approfondimenti, Beck mostra di essere ben consapevole di quanto il rischio e la responsabilità siano intimamente correlati, di quanto, cioè, il primo implichi sempre la (questione della) seconda (cfr. Beck 2001, pp. 16, 18). Limitandomi a qualche passaggio del principale libro di Beck e ad alcune osservazioni contenute in una sua interessante intervista, cercherò qui di seguito di delineare quella che sembra essere la sua posizione (generale) sul tema, non priva di qualche ambivalenza.

Sia pure in estrema sintesi, va anzitutto detto che perentoriamente negativa è la sua valutazione della razionalità tecnico-scientifica: «le scienze non sono assolutamente in grado di reagire ai rischi della civiltà, poiché sono ampiamente corresponsabili della loro nascita e crescita. Anzi: […] si vanno trasformando in autorevoli istanze legittimanti di un inquinamento e di una contaminazione industriale planetaria di aria, acqua, alimenti […] [N]ello sforzo di incrementare la produttività, i rischi sono sempre stati trascurati» (Beck 2000, p. 78-79).

Ma c’è di più: secondo Beck, le decisioni in campo scientifico si auto-caricano di un contenuto politico in realtà privo di legittimazione politica (cfr. ivi, p. 260). Il sociologo parla al riguardo, come è noto, di sub-politica per definire questa configurazione da terza entità, tra la politica e la non-politica, dello sviluppo tecnico-economico: la scienza e l’industria (e l’economia) decidono, egli scrive, «ma senza la responsabilità per gli effetti collaterali, mentre alla politica [in senso stretto] è assegnato il compito di legittimare democraticamente decisioni da essa non prese e [quando possibile] di “ammortizzare” gli effetti collaterali delle tecnologie» (ivi, p. 295). Insomma, per Beck

l’economia non è responsabile di qualcosa che essa causa, mentre la politica è responsabile di qualcosa che non controlla. Finché permane questa situazione, persisteranno anche gli effetti collaterali. Tutto ciò si traduce in uno svantaggio strutturale della politica, che non solo ha le sue frustrazioni (con l’opinione pubblica, i costi per la cura delle malattie, ecc.), ma è anche continuamente ritenuta responsabile di qualcosa […] le cui cause e possibilità di cambiamento stanno al di fuori del suo raggio d’azione diretta.

Tuttavia, questo circolo di auto-depotenziamento e di perdita di credibilità può essere spezzato. La chiave sta proprio nella responsabilità per gli effetti collaterali. In altri termini, l’agire politico acquista influenza parallelamente alla scoperta e alla percezione dei potenziali di rischio. Le definizioni dei rischi attivano responsabilità e creano zone di condizioni sistemiche illegittime, che reclamano un cambiamento nell’interesse di tutti. Perciò esse non paralizzano l’agire politico e quindi non devono nemmeno essere nascoste a tutti i costi ad un’opinione pubblica sistematicamente inquieta con l’aiuto di una scienza cieca o controllata dall’esterno. Al contrario, le definizioni dei rischi dischiudono nuove opzioni politiche che possono essere utilizzate anche per riacquistare e consolidare un’influenza democratico-parlamentare (ivi, pp. 312-13).

Qui, in buona sostanza, Beck sembra affidare alla politica, non senza una significativa fiducia e apertura di credito, il compito di (ri-)prendere le redini di una situazione sfuggita del tutto di mano ad altre istituzioni.

Irresponsabilità

Tuttavia, nella Postfazione a La società del rischio, scritta nel 2000 e aggiunta poi in appendice al libro, il sociologo tedesco utilizza una nozione, quella di “irresponsabilità organizzata”, con cui egli di fatto, per così dire, inserisce in un unico “calderone” (molto) critico tutte le istituzioni sociali, senza distinzione alcuna; tale espressione, scrive infatti Beck:

aiuta a spiegare come e perché le istituzioni della società moderna debbano inevitabilmente riconoscere la realtà della catastrofe mentre allo stesso tempo negano la sua esistenza, nascondendone le origini e precludendone il risarcimento o il controllo. In altri termini, le società del rischio sono caratterizzate dal paradosso di un sempre maggiore degrado ambientale -percepito e possibile- accoppiato ad una espansione della legge e della regolamentazione sull’ambiente. Tuttavia, allo stesso tempo, nessun individuo o istituzione sembra essere specificamente ritenuto responsabile di qualcosa. […] Chi deve definire e determinare la nocività dei prodotti, il pericolo, i rischi? Chi ne è responsabile: coloro che generano i rischi, coloro che ne beneficiano, coloro che ne sono potenzialmente colpiti o le agenzie pubbliche? […] In relazione a […]  queste domande, […] ci troviamo di fronte al paradosso per cui proprio nello stesso momento in cui le minacce e i pericoli sembrano più gravi e più ovvi, diventano sempre più inaccessibili ai tentativi di stabilire prove, attribuzioni di responsabilità e risarcimenti con mezzi scientifici, legali e politici (ivi, pp. 344-45: corsivi miei).

Ho riportato questo lungo passaggio testuale perché esso sembra, tra l’altro, esemplarmente spiegare come mai siano così pochi i passaggi in cui Beck affronta esplicitamente il tema della responsabilità. La ragione di ciò appare banalmente annidarsi nel fatto che, per lui, l‘individuazione delle cause e/o delle responsabilità dei rischi prodotti dalla società odierna costituisce, appunto, un’operazione destinata a fallire, o comunque a perdersi «in un amalgama complessivo di attori e condizioni […]»: è «possibile fare delle cose e continuare a farle, senza doversene assumere la responsabilità. […]. [La] giungla dei rapporti tra amministrazioni, scienza e politica […] corrisponde ad una generale complicità, e questa a sua volta ad una generale irresponsabilità» (ivi, p. 43).

Sullo specifico terreno della/e responsabilità, il sociologo tedesco appare molto critico e pessimista anche in un’intervista pubblicata pochi anni fa in lingua italiana. Qui egli parla di “esplosività politica” della società del rischio: in quest’ultima la responsabilità “esploderebbe” insieme alla pretesa di razionalità (cfr. Yates 2016, p. 210). Beck precisa immediatamente questa affermazione parlando di un

fallimento delle istituzioni che traggono la loro autorità dal loro presunto controllo [dei] pericoli [rischi]. […] L’aspettativa istituzionalizzata del controllo e persino le idee guida di “certezza” e “razionalità” stanno collassando. […] Le regole istituite di attribuzione e responsabilità -causalità, colpevolezza, giustizia- crollano. […] Le istituzioni che sono preposte al controllo hanno prodotto incontrollabilità (ivi, pp. 211-12).

Come si vede, qui Beck sembra riconducibile a quel paradigma del mondo fuori controllo che pure, come si è detto sopra richiamando un’avvertita letteratura secondaria, egli sembra sottoscrivere pienamente solo sul piano della “diagnosi” e non anche su quello della “prognosi” circa le prospettive della società odierna. Come già detto, fuoriusciva dalle finalità di questo mio breve intervento qualsiasi approfondimento sulla sociologia di Beck; di certo, tuttavia, (almeno) in quest’intervista, e con ogni evidenza, nessuna istituzione e/o ambito sociale è risparmiato dai suoi strali:

[i] politici dicono che non sono responsabili, e che al massimo si limitano a regolare il contesto del mercato. Esperti scientifici dicono di creare soltanto opportunità tecnologiche […]. Il mondo degli affari dice di rispondere soltanto alla domanda dei consumatori. La società è divenuta un laboratorio senza alcun responsabile per l’esito dell’esperimento (ivi, p. 213: corsivo mio).

È la “crisi” della responsabilità (per Beck)!

Paolo Iagulli

Bibliografia

 Beck, U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, ed. orig. 1986.

Beck, U. (2001), La società globale del rischio, Asterios, Trieste, ed. orig. 1999.

Beck, U. (2017), La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari-Roma, ed. orig. 2016.

Colella F., Faggiano M.P., Gavrila M., Nocenzi M. (2016), a cura di, Lezioni di società. L’eredità di Ulrich Beck, Egea, Milano.

Horkheimer M. (1969), Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale, Einaudi, Torino, ed. orig. 1967.

Leccardi, C. (2000), voce Responsabilità. In A. Melucci (a cura di), Parole chiave. Per un nuovo lessico delle scienze sociali, Carocci, Roma.

Pellizzoni L. (2003), Movimenti riflessi. Ulrich Beck e il problema della modernità. In “Quaderni di Teoria Sociale”, 3, pp. 95-138.

Privitera, W. (2004), Tecnica, individuo e società. Cinque lezioni sulla teoria di Ulrich Beck, Rubbettino.

Privitera, W. (2009), Ulrich Beck: sociologia del rischio e nuovo cosmopolitismo. In M. Ghisleni e W. Privitera, Sociologie contemporanee, UTET, Torino.

Vaccarini I. (2020), La responsabilità come categoria sociologica, sul presente portale  (www.welfareresponsabile.it).

Yates J. (2016), Paura e società del rischio. Un’intervista a Urlich Beck. In “Lo sguardo-Rivista di filosofia”, 21, II, pp. 209-218.

NOTE

[1] Rinvio, al riguardo, ad alcune ottime introduzioni al pensiero del sociologo tedesco: Privitera 2004 e 2009; Pellizzoni 2003; Colella, Faggiano, Gavrila, Nocenzi 2016.

[2] Il tema del rischio ha in qualche modo caratterizzato sino alla fine la sua riflessione: cfr., esemplarmente, Beck 2017, il suo “libro incompiuto”, in part. p. 68 ss.

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