È un tema, quello della povertà, tradizionalmente trascurato dai giuristi. Anche con l’affermarsi dello Stato sociale, esso è rimasto per così dire ai margini della loro riflessione. Persino negli ultimi decenni, che pure hanno visto i giuristi soffermarsi più che in passato sugli interventi e i servizi sociali, pochi sono stati gli studi giuridici sulla povertà. Forse ha pesato il suo apparire un tema vecchio, dal sapore quasi ottocentesco, rispetto ad altri nuovi; forse ha pesato il fatto che parlare di povertà evoca un’area di bisogni che, diversamente da altre, non ha avuto e non ha una sua legislazione. Ma in ogni caso oggi specialmente col crescere della povertà si avverte l’esigenza che anche i giuristi si soffermino con più attenzione su tale tema.
E allora non si può non apprezzare l’idea di Claudio Franchini, professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università Tor Vergata di Roma, di dedicarle un volumetto[1], a partire dal quale si proporranno qui alcune considerazioni sul tema.
Una prospettiva multidisciplinare
Leggendo il libro si apprezzano immediatamente la scelta di uno stile piano, quella di tralasciare tutta una serie di dispute dottrinali che hanno avuto storicamente un senso ma non sono essenziali per capire l’oggi, e poi quella di evitare di appesantire il testo con troppi riferimenti normativi e giurisprudenziali, limitandosi in proposito l’autore all’essenziale per concentrare la riflessione sulle questioni chiave. Tutte scelte che rendono, tra l’altro, lo scritto fruibile anche da studiosi non giuristi ma comunque interessati al tema anche nella sua dimensione giuridica. Questo è importante perché, diversamente da altri, il tema “povertà” è tale per cui il giurista con la metodologia di analisi-proposta può avere un ruolo importante essenzialmente nel contesto di sviluppi della ricerca di tipo multidisciplinare.
Il libro, come il titolo annuncia, dà anzitutto un quadro dell’intervento pubblico di contrasto alla povertà, da un punto di vista giuridico. Va però osservato che non si tratta certo di un’opera descrittiva-neutra, quanto piuttosto di una riflessione al contempo personale e critica.
Non solo povertà: scuola e salute
Una riflessione personale. Questo lo si nota subito considerando gli argomenti trattati. Il lettore si attende di leggere dell’intervento di contrasto con riferimento alla povertà che si manifesta, e trova quel che si attende, ma trova anche, e non era certo scontato, una considerazione dell’intervento pubblico nel suo essere e dover essere preventivo rispetto alla povertà, a partire dalla scuola e dal servizio sanitario, una considerazione che per così dire opportunamente costringe il lettore a una visione più organica di quello che l’intervento pubblico di contrasto effettivamente è e soprattutto potrebbe essere.
Questa visione più organica è, si ritiene, particolarmente importante che si tratti di studi giuridici o di altro settore disciplinare in un contesto nel quale affiora invece a tratti la pericolosa tentazione di pensare che la povertà possa essere addirittura sconfitta con un solo specifico intervento (la si è vista da ultimo emergere in alcune valutazioni relative al reddito di cittadinanza).
Poveri ma titolari di diritti
A di là della scelta degli argomenti, un altro approccio personale lo troviamo nel libro per esempio dove non solo l’autore tematizza l’essere i poveri titolari di diritti – contro un modo di pensare tradizionale che li vede piuttosto come destinatari meramente passivi di provvidenze – ma tematizza anche la questione, che spesso i giuristi italiani trascurano, dell’essere i poveri comunque per tale loro condizione in difficoltà nell’avvalersi dei diritti e, tra l’altro, nell’essere coprotagonisti degli interventi che li riguardano. Una difficoltà alla quale, si rimarca nel libro, non hanno sinora corrisposto adeguati interventi pubblici (al di là della garanzia del gratuito patrocinio che comunque tocca solo un aspetto particolare della questione). Questo tema del rendere i diritti effettivi per i soggetti deboli deve essere considerato estremamente rilevante dai giuristi superandosi una tradizione legata al mondo liberale-borghese dove la riflessione dei giuristi si è sviluppata essenzialmente con riferimento a soggetti comunque “forti” (si pensi all’idealtipo del proprietario terriero che si oppone all’esproprio).
Le politiche di intervento pubblico? Inadeguate
Il libro propone inoltre, come accennato, una riflessione critica. Esso si fa apprezzare per l’approccio critico che tutto lo pervade, frutto di una tensione civile e di un’attenzione alla reale efficacia dell’intervento pubblico che hanno portato l’autore a vedere l’inadeguatezza di tale intervento e a percepirla come un dato inaccettabile.
A riguardo l’autore anzitutto rileva una tradizionale scarsa attenzione del pubblico potere per il problema-povertà e sottolinea come, invece, un adeguato intervento a riguardo sia, tra l’altro, giuridicamente doveroso, in quanto imposto dalla Costituzione. Sul punto, nel libro si sottolinea anche che i riferimenti, frequenti nell’esperienza dell’intervento pubblico, ai limiti delle risorse finanziarie e, più in generale, alla discrezionalità del legislatore hanno senso a proposito del come intervenire ma non quanto al se intervenire in modo efficace, nella misura in cui ciò corrisponde alla tutela essenziale di diritti fondamentali. L’autore in proposito stigmatizza tra l’altro l’arretramento drammatico che c’è stato in questi anni sul versante delle politiche per garantire ai poveri il diritto alla casa: se, da un lato, va apprezzato l’articolarsi di tali politiche attraverso una più ampia gamma di interventi, dall’altro il contrarsi delle relative risorse ha determinato una situazione nella quale in concreto per molti poveri la tutela del diritto all’abitazione non è garantita. E allora si pone per i giuristi la sfida di trovare vie per fare in modo che effettivamente gli interessi legittimi legati a beni essenziali abbiano una tutela garantita.
Il rischio della dipendenza
Un altro aspetto dell’intervento pubblico di contrasto alla povertà che Franchini considera in termini decisamente critici è l’ampliamento che c’è stato in questi anni del ricorso a sussidi economici con contrazione invece dell’intervento in termini di servizi. Nel ricorso al sussidio egli vede, in particolare, un rischio di dipendenza del povero: dipendenza dal sussidio in sé; dipendenza dal pubblico potere che a sua scelta lo eroga. Nello strumento del reddito di cittadinanza poi in particolare l’autore ravvisa una specifica inadeguatezza: esso dovrebbe “cancellare” la povertà assoluta ma, per come è stato disegnato, il suo impatto sulla povertà assoluta rischia di essere addirittura minimo, perché i criteri di selezione previsti sono tali da escludere formalmente una parte dei più poveri, e perché non si sono previsti strumenti adeguati a far sì che i più poveri sulla carta ammessi riescano effettivamente a fruirne. Risulta allora chiaro, tra l’altro, quanto sia importante anche per il giurista l’attenzione ai risultati effettivamente conseguiti con determinate misure – non ha davvero senso valutarle prescindendo da essi – e quanto il giurista sia chiamato in causa quale soggetto specificamente capace di disegnare dal suo punto di vista un articolato quadro di risposte possibili al problema della povertà, secondo i principi dell’ordinamento.
Colmare le lacune strutturali dell’intervento pubblico
Attenzione particolare viene dedicata nel libro di Franchini al tema di chi dovrebbe prioritariamente farsi carico dell’erogazione dei servizi. Senza riferimenti specifici ai possibili vincoli derivanti a riguardo dal principio di sussidiarietà l’autore manifesta una decisa preferenza per il privato sociale in nome dell’esigenza di efficacia. In particolare, nel libro si immagina come necessario un crescente intervento del privato sociale per colmare le lacune strutturali dell’agire di un pubblico potere che in buona misura “non conosce” le esigenze dei poveri.
Poco si sofferma, invece, il libro sulla questione del come coinvolgere i privati. Scontata la preferenza per la co-progettazione – in coerenza con il deficit del pubblico sul piano della conoscenza dei bisogni – non si dice quasi nulla sul tema della selezione dei soggetti da inserire in qualche modo nel perimetro del servizio pubblico. L’idea sembra essere che tendenzialmente tutto il privato sociale andrebbe coinvolto, essendo in generale gli operatori idonei e non essendovi sovrabbondanza di risorse.
Per questo profilo il volume propone ai giuristi indicazioni significative ma, al contempo, lascia un ampio spazio rispetto al quale, a partire dal principio di sussidiarietà orizzontale, va costruita dai giuristi una teoria dell’intervento pubblico in costante rapporto con quanto emerge dagli studi frutto di altri apporti disciplinari.
[1] Franchini C., L’intervento pubblico di contrasto alla povertà, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021.