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RESPONSABILITÀ IN ECONOMIA: ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE

Continua il percorso di riflessione multidisciplinare sul senso della responsabilità, analizzato da diversi punti di vista. Prova a fornire alcuni spunti di riflessione, in questo contributo originale, Simona Beretta, economista, professore ordinario di Politica Economica presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali della Università Cattolica del Sacro Cuore.

Desidero condividere tre punti di riflessione su cosa sia in discussione quando si parla di responsabilità nelle relazioni economiche. È un tema affascinante, perché costitutivamente intrecciato con la questione della libertà personale; allo stesso tempo è un tema facilmente banalizzabile, se ridotto al rispetto di “codici di comportamento” appropriati per particolari aspetti della vita economica.

La responsabilità sociale d’impresa

Il primo punto è una constatazione: la stragrande maggioranza degli studi teorici ed empirici che riguardano il tema della responsabilità si riferisce al filone della responsabilità sociale di impresa, tema che ha conquistato una posizione consolidata nell’insegnamento accademico, nel sistema della consulenza aziendale, nella narrazione che le imprese (specie le grandi imprese) offrono di sé attraverso i loro vari canali di comunicazione pubblica, nelle prese di posizione collettive di leader di impresa. Ricordiamo innanzitutto il Global Compact delle Nazioni Unite, articolato in dieci principi di comportamento che discendono dalle più importanti Dichiarazioni e Convenzioni delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, lavoro, sostenibilità ambientale e anticorruzione. Più recentemente, il documento Statement on the Purpose of a Corporation – firmato negli Stati Uniti nell’agosto 2019 da 181 responsabili di grandi imprese globalizzate – riformula la stessa finalità d’impresa non come massimizzazione del valore per gli azionisti, ma come impegno nei confronti di tutti i propri stakeholders: clienti, lavoratori, fornitori, comunità locali e, naturalmente, azionisti.

Naturalmente, l’esercizio della responsabilità sociale d’impresa ha a che fare con i principi, ma si concretizza solo nella pratica delle decisioni di impresa riguardanti la produzione, l’organizzazione del personale, le relazioni con fornitori e clienti, l’ambiente naturale e le realtà sociali direttamente o indirettamente coinvolte dalla operatività dell’impresa. Quindi, non si può essere ingenui: riferirsi ai principi di responsabilità sociale non produce magicamente esiti positivi per tutti gli stakeholders. Anzi, normalmente il perseguimento di obiettivi quali la sicurezza dei lavoratori, la qualità del prodotto, la tutela dell’ambiente comportano costi che possono limitare la profittabilità o la competitività aziendale. Ugualmente, non si può trascurare l’incentivo a “gonfiare” la qualità della responsabile sociale d’impresa nella comunicazione pubblica in vista di un ritorno di immagine (e i possibili ritorni economici connessi).

A ben guardare, la responsabilità sociale d’impresa ci invita a non fermarci alla superficie: occorrere poter guardare “dentro” la vita concreta delle imprese per discernere la facciata dalla sostanza, l’impatto di breve e di lungo orizzonte delle scelte gestionali, gli effetti locali e le ricadute meno evidenti ma forse non meno significative che si manifestano altrove.

Scelte di consumo e di investimento

Un secondo aspetto della responsabilità economica riguarda le scelte personali di consumo e di investimento. Consumo responsabile e investimento responsabile costituiscono leve importanti per cambiare “dal basso” la configurazione del mercato. Questo tema sta acquisendo crescente visibilità anche nella letteratura economica: in breve, si trasmette il messaggio che è possibile, quindi anche doveroso, “votare con il portafoglio” per sostenere iniziative economiche capaci di generare ricadute positive sull’ambiente economico (in primis, occasioni di lavoro), ma anche sulla più vasta realtà sociale e ambientale. Infatti, l’esercizio di quella che in tempi remoti si chiamava “sovranità del consumatore” può indirizzare l’attività economica verso prodotti e modalità produttive conformi alla dignità del lavoro, alla tutela dell’ambiente e delle comunità locali; può anche stimolare l’innovazione in coerenza con obiettivi di sviluppo umano, ambientale e sociale. Parallelamente, il mercato finanziario può essere influenzato nel suo funzionamento dal “voto col portafoglio” di chi sceglie di investire in prodotti finanziari le cui caratteristiche rispondono a esigenze di carattere etico.

Se vale quello che si è detto per la responsabilità sociale di impresa, ovvero che lo sguardo alla superficie dei fenomeni economici è inevitabilmente inadeguato, si capisce bene che – al di là delle buone intenzioni – “votare col portafoglio” è un esercizio tutt’altro che facile. Esiste la possibilità concreta che chi dispone di un portafoglio ne faccia uso sulla base di segnali incompleti, filtrati da intermediari della comunicazione non sempre disinteressati.

Anche la finanza “etica”, come il consumo “green” o “responsabile”, costituisce una nicchia interessante di business. Molte imprese e molti intermediari finanziari, infatti, accanto al core business tradizionale hanno costituito anche comparti relativi a prodotti “etici” che soddisfano i requisiti di carattere ambientale (E, environment), di giustizia sociale (S, social justice) e di governance (G) riassunti nell’acronimo ESG.

Questa tendenza potrebbe assumere una importanza cruciale in un prossimo futuro, dato il moltiplicarsi di liste e classifiche internazionali relative alla qualità etica di diverse imprese, sulla base del loro impegno positivo in diversi ambiti (ambiente, difesa dei diritti umani, tutela dei consumatori, diversità etnica e di genere e così via); specularmente, altre liste indicano in negativo quali imprese appartengono a settori con effetti sociali negativi (per esempio alcol, tabacco, scommesse, armamenti, pornografia, fonti fossili di energia e altri). In questa tendenza si inscrive anche l’azione di attori di grande rilievo, per esempio il FTSE4Good Index, gestito da una agenzia sussidiaria del London Stock Exchange Group. Quindi l’impatto di questo sviluppo sugli assetti globali del business potrebbe essere veramente massiccio.

Penso che non sfugga a nessuno l’ambivalenza di questi sviluppi: né i loro potenziali impatti positivi, né la delicatezza dei criteri che presiedono alla compilazione delle liste di chi agisce (o non agisce) in modo responsabile.

Ma cosa è, davvero, la responsabilità?

E così vengo al terzo punto. In un mondo dove tutto è connesso, è assolutamente indispensabile non fermarsi alla superficie della realtà, alle forme esteriori, a quanto appare a prima vista. Occorre la prudenza del discernimento e – se vogliamo – anche un po’ di coraggio anticonformista che non si accontenti di valutazioni estemporanee e del “risaputo”. Il rischio di nuovi conformismi, sia pure di segno diverso da quelli del passato, non è mai definitivamente scongiurato. Mi permetto quindi di condividere alcune domande sul significato di responsabilità, nell’orizzonte della scienza economica e delle concrete relazioni economiche.

A chi e a che cosa si risponde?

Innanzitutto, la parola responsabilità richiama l’azione del “rispondere”. A chi e a che cosa si risponde? A chi risponde il “tipico” agente economico auto-interessato (persona, impresa, stato)? A chi altro dovrebbe invece rispondere, e come segnalare a un attore auto-interessato l’opportunità – o perfino la necessità – di rispondere a qualcun altro?

Su questo la teoria economica consolidata ha concluso che affidare le sorti della convivenza di un gruppo di agenti alle loro decisioni decentrate e auto-interessate non porta a necessariamente a situazioni di efficienza (anche supponendo di non considerare questioni di giustizia). Questo accade in presenza di “esternalità” positive o negative: se una determinata scelta operata da un agente sulla sola base dei propri costi e benefici è tale da produrre anche effetti collaterali su altri agenti, non coinvolti nella scelta, si finirà per sovra-produrre conseguenze negative sul gruppo (per esempio: inquinamento) e per sotto-produrre conseguenze benefiche. In pratica, per esempio, la libera contrattazione di mercato, in cui ognuno sceglie per sé, non porta risultati socialmente desiderabili in presenza di esternalità. Qual è la soluzione ideale proposta dalla teoria economica? Quella di “internalizzare” le esternalità, incorporandole nell’orizzonte rilevante per l’agente individuale. Si tratta in pratica di rendere più costose per l’individuo le scelte che danneggiano altri, e di premiare le scelte che beneficiano altri. Facile a dirsi, ma ben difficile da attuare – pensiamo alle complesse architetture che dovrebbero indurre scelta di riduzione delle emissioni di CO2, e alla strenua battaglia per ripartire gli inevitabili costi di questa operazione. Difficile fare progressi reali senza una idea di responsabilità che peschi più nel profondo; senza sentirsi interpellati in un rapporto concreto con l’altro e con gli altri che ci chiama a “rispondere”.

Chi è l’altro a cui dobbiamo una qualche risposta?

Ecco la domanda fondamentale: chi è l’altro a cui dobbiamo una qualche risposta? Quanti e quali sono questi altri, di quante e quali cose dobbiamo rispondere?

Anche su questa domanda la teoria economica ha elaborato tentativi di risposta che riguardano la dimensione della “interdipendenza”: tema affascinante e impegnativo, molto difficile da affrontare realisticamente partendo dal “tipico” attore auto-interessato dell’analisi economica. Credo che a questa domanda si possa solo dare risposta solo caso per caso, empiricamente, e solo con grande umiltà. Come dice Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.

Chi è il mio prossimo?

La domanda: A chi dobbiamo rispondere? somiglia molto, in effetti, a un’altra domanda: Chi è il mio prossimo?

Leggendo la Fratelli tutti mi ha colpito che tra le “ombre di un mondo chiuso” (titolo del primo capitolo) al “pensare e generare un mondo aperto” (terzo capitolo), l’enciclica ponga una sorta di passaggio obbligato (secondo capitolo): “un estraneo sulla strada”. Il rispondere a questo imprevisto (responsabilità) mette pericolosamente in gioco tutta la nostra umanità: sappiamo che, se decidessimo di lasciarci coinvolgere, certamente dovremo decidere, momento per momento, in condizioni di grande incertezza, qual è la cosa più urgente da fare (priorità), come costruire con quel poco che abbiamo a disposizione (vino e olio), come cercare alleati (locandiere)… fino a individuare soluzioni istituzionali praticabili (una strada meno insicura).

Fuor di metafora: questo significa responsabilità per i nostri tempi di rapido cambiamento e grande incertezza. Passare dal buio di un mondo chiuso (un mondo globalizzato dove non c’è modo di sfuggire all’interdipendenza che premia i poteri forti e taglia le gambe a chi è vulnerabile) alla possibilità di un mondo aperto (di una convivenza umana dignitosa per tutti) occorre essere aperti all’imprevisto scomodo dell’incontro con “un estraneo sulla strada”. Questo scomodo imprevisto costituisce in realtà la nostra grande occasione per realizzare un mondo che… sia veramente ESG.

In un mondo dove tutto è connesso, la responsabilità non può ridursi a buone pratiche routinarie. Le regole di buon comportamento che possiamo distillare dall’esperienza di ieri sono preziose, ma inevitabilmente insufficienti a rispondere alle sfide impreviste e a preparare il futuro. Non ci si può accontentare – mi si passi il termine – del “tran-tran della responsabilità” percorrendo strade convenzionali. La responsabilità chiede l’intelligenza audace di una ragione aperta, senza sconti, alla realtà intera.

Simona Beretta

Immagine: Foto creata da freepik – it.freepik.com

 

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