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FINANZA E RESPONSABILITÀ SOCIALE

Esiste un rapporto tra la responsabilità e il profitto? Tra finanza e bene comune? Prova a rispondere a queste difficili domande Elena Beccalli, Preside della Facoltà di Scienze bancarie finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Le sue riflessioni costituiscono un importante stimolo per il progetto della Rete WR, cioè il necessario sostegno alle iniziative di welfare.

 

È possibile coniugare finanza e responsabilità sociale? Si tratta di un connubio non scontato ma necessario, ancor di più in tempi drammaticamente complessi come quelli della pandemia che ha amplificato e moltiplicato le povertà alimentando ulteriormente le disuguaglianze.

Per comprendere quali siano le responsabilità della finanza e di chi fa finanza, nonché come tradurle concretamente nei processi decisionali, appare utile il riferimento al modello di tutela sociale elaborato da Nien-hê Hsieh, economista della Harvard Business School, nel volume: “Quali responsabilità per la finanza?” (Vita e Pensiero, 2020).

Le responsabilità della finanza non si limitano alla realizzazione di risultati economici, ma riguardano una platea ampia di soggetti fino ad arrivare alla società nel suo complesso. Tale necessità di allargare lo sguardo nasce dalla mancanza di fiducia da parte dell’opinione pubblica nei confronti di imprese e banche: se da una parte, infatti, aumentano le iniziative a favore della responsabilità sociale, dall’altra l’opinione pubblica percepisce che l’impegno non sia mai sufficiente.

Quale modello di tutela sociale?

Il modello di tutela sociale si fonda su una semplice quanto dirimente domanda: «Dovrebbe esistere?», da porre con riguardo non solo a prodotti e servizi specifici ma allo stesso modello di business. Si pensi all’esempio del prestito di emergenza a brevissimo termine basato sull’anticipo di stipendio, molto diffuso negli Stati Uniti.

In caso di mancata restituzione di una rata viene acceso un nuovo prestito a valere sugli stipendi futuri con un peso degli interessi che diviene sempre più elevato; questo crea un vortice debitorio non sostenibile. Tale strumento invece di aiutare il debitore finisce spesso per renderlo sovraindebitato: si tratta di un modello di business che chiaramente non dovrebbe esistere.

La creazione di valore sociale

L’interrogativo sulla legittimazione sociale dell’esistenza di un business è il fondamento logico di un ripensamento del significato del concetto stesso di valore e creazione di valore, a lungo inteso come creazione di rendimenti per i soli azionisti spesso con un orizzonte di breve termine. È una concezione questa che ha mostrato tutti i suoi limiti già con la crisi globale del 2007 e ancora oggi con la pandemia.

Il nuovo concetto di valore poggia su una “proposta di valore sociale”, che sottende un riorientamento o riformulazione nel modo in cui manager, imprenditori e banchieri sono chiamati a dare priorità alle loro responsabilità nei confronti della società.

La tutela sociale non deve essere intesa in contrapposizione all’efficienza, alla redditività e alla solidità del business della banca. Questi aspetti economici, fondati sull’erogazione di credito a imprenditori che siano in grado di restituire quanto ricevuto, sono il presupposto di un business attento alla tutela sociale. Il ruolo della banca a sostegno dell’economia reale si associa sia alla prosperità della banca stessa sia alla tutela di sostenibilità e inclusione: un aspetto è presupposto per l’altro. Tale ruolo di sostegno a ben vedere rappresenta la funzione originaria della banca stessa.

Il problema dell’accesso al credito

L’esperienza delle casse di raccolta scozzesi, comunità parrocchiali con caratteri che diventano portatori di un modo di fare credito che fonda le sue radici fin dal medioevo, è emblematica della nascita nell’Europa continentale dell’Ottocento di molte piccole banche di credito cooperativo, casse di risparmio e banche popolari per consentire l’accesso al credito bancario delle fasce della popolazione fino ad allora esclusa per consentire loro l’uscita della povertà, come ben comprese Giuseppe Toniolo. Emerge con chiarezza il problema del credito in favore delle fasce più deboli della società, distinto dal credito a beneficio del mondo delle imprese. La necessità di tale credito si legava allora alla drammatica presenza di povertà e alle condizioni di sussistenza che interessavano una fascia molto rilevante della popolazione. Situazione non molto dissimile da quanto si osserva in questa epoca di crisi pandemica.

Queste esperienze, che hanno radici antiche, mostrano che per le banche il perseguimento dei risultati economici e quello del bene comune non sono necessariamente contrapposti, anzi il loro connubio è in qualche modo scritto nel patrimonio genetico della banca anche se tendiamo a dimenticarcene.

Dal profitto al valore sociale

Se con il credito bancario si favorisce lo sviluppo della comunità di riferimento, e dunque si sostengono progetti familiari e imprenditoriali, questo va a beneficio sia del sistema bancario sia della società.

Tale non facile sinergia richiede però di superare la concezione classica di valore, che non è solo una mera creazione di profitto, ma ha un’accezione più ampia che comprende la dimensione sociale.

Il profitto è un presupposto per favorire lo sviluppo complessivo della società. La chiave di volta è però che questa nuova concezione della tutela sociale permei i valori di riferimento e il modello di business della banca.

In questo contesto l’opinione pubblica ha essa stessa una responsabilità nel creare sensibilità sulla tutela sociale per riorientare la creazione di valore: la spinta di ciascuno a questo proposito è fondamentale.

 

Immagine: Foto creata da Racool_studio – it.freepik.com

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