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LA FILIERA DELLA RESPONSABILITÀ AL TEMPO DEL COVID-19

Ulrich Beck, nel suo celebre libro “La società del rischio. Verso una seconda modernità” (2005, ed. orig.: 1986), aveva messo in luce come una delle caratteristiche salienti dell’epoca moderna sia rappresentata dalla pervasività dei rischi, ovvero dall’aumento di minacce sociali connotate da alcune peculiarità inedite rispetto al passato.

Le minacce della contemporaneità si distinguono per le seguenti caratteristiche: il fatto di configurarsi come l’esito dello sviluppo umano (si pensi alla minaccia del surriscaldamento globale connesso alle attività umane); la capacità di travalicare lo spazio e il tempo, determinando un impatto a livello mondiale; la trasversalità rispetto alle classi sociali; l’essere all’origine di conflitti all’interno della comunità scientifica (i cosiddetti “saperi esperti”) per il calcolo degli effetti legati a quella specifica minaccia.

Tra rischio globale e cosmopolitismo

Ora, il COVID-19 non rappresenta certo l’unica pandemia che ha colpito la storia dell’uomo, ma la sua rapida diffusione a livello mondiale ci rammenta alcune delle considerazioni del sociologo tedesco. In primo luogo, la crescita esponenziale dei casi di infezione può essere ricondotta allo sviluppo umano, in particolare alla crescente interconnessione tra le persone e l’accelerazione degli scambi, esito del processo di globalizzazione. In secondo luogo, il CODIV-19 è riuscito a spostarsi rapidamente nello spazio (travalicando i confini) e nel tempo (determinando effetti a lungo termine). In terzo luogo, la sua minaccia riguarda tutti i cittadini – professionisti della salute, politici, personaggi pubblici, operai – indipendentemente dalla posizione sociale.

Non ultimo, i discorsi attorno alla pandemia hanno generato diversi punti di vista all’interno della comunità scientifica, divisa – almeno nelle fasi iniziali – tra coloro che ritenevano il nuovo virus configurasse una situazione non molto più pericolosa di un’influenza stagionale e coloro che ne sottolineavano la gravità.
Beck può essere considerato un autore illuminante non solo per interpretare la natura delle minacce odierne, ma anche per comprenderne le conseguenze.
I rischi della modernità possono contribuire a rinsaldare la società perché evidenziano la vulnerabilità delle persone  oggi sempre più unite dal comune sentimento della paura (Beck 2000)  e a creare un “movimento cosmopolita di illuminazione” (Beck, 2003). Il cosmopolitismo di cui parla Beck richiama un atteggiamento di consapevolezza della labilità dei confini e delle distinzioni nella società del rischio: al suo interno le minacce, come abbiamo visto, non sono più delimitabili e localizzabili. Sapere di essere tutti esposti allo stesso rischio, può sollecitare nuove forme di solidarietà e reciprocità.

Interconnessioni

La pandemia COVID-19 materializza anche un’ulteriore consapevolezza: il fatto che dalla nostra interconnessione dipenda la nostra co-responsabilità. Il richiamo ad agire in maniera responsabile è forse quello che più trova riscontro nella comunicazione pubblica di questo periodo. Dai leader politici ai privati cittadini che esprimono la loro voce tramite i social media (ad esempio, attraverso l’hashtag #iorestoacasa), c’è un diffuso appello ad agire in modo riflessivo, facendosi carico delle conseguenze delle proprie azioni nei confronti dell’intera comunità, in modo particolare verso coloro che sono più fragili (gli anziani e/o le persone con malattie croniche) e verso chi è in prima linea nell’assicurare i servizi di base (dai professionisti della salute ai dipendenti dei supermercati). Responsabilità significa anche “abilità a rispondere”, ovvero vuole dire anche saper adottare comportamenti atti ad arginare il contagio (dal prestare particolare attenzione all’igiene personale al mantenere la distanza sociale) e indirizzati a sacrificare il nostro interesse personale e individuale a favore dell’interesse collettivo (attraverso la riduzione della nostra mobilità fisica).

Una filiera della responsabilità

Se è vero che i cittadini giocano un ruolo di primo piano nell’assunzione di responsabilità, risulta altrettanto evidente come l’emergenza sanitaria stia attivando l’intera filiera della responsabilità, attraverso un processo di sussidiarietà integrata.
Molte aziende hanno dovuto sospendere le attività economiche e produttive nell’interesse sanitario comune, in primis quello dei loro dipendenti. Chi ha potuto, si è riorganizzato prevedendo forme di lavoro in remoto per i propri dipendenti, processo che ha comportato un significativo sforzo di ingegneria organizzativa, ma anche culturale. Perché prevedere che i propri dipendenti possano lavorare da casa significa anche dover fare i conti con il fatto che molti lavoratori debbano trovare un compromesso tra lavoro e gestione degli impegni familiari: questo per molti ha comportato l’esigenza di occuparsi a tempo pieno dei figli, i quali non frequentano la scuola a causa della sospensione delle attività didattiche. Per questi stessi genitori, l’emergenza sanitaria significa dilatare il carico di responsabilità nei confronti dei figli, assumendo non di rado un ruolo attivo nel supportarli nei processi di apprendimento attraverso la didattica online, laddove attivata.
L’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori che afferiscono alla filiera passa dunque attraverso due step fondamentali. Il primo, lo abbiamo visto, è quello della maturazione della consapevolezza rispetto all’interconnessione con gli altri nodi della filiera: l’emergenza può essere gestita se tutti giocano la propria parte, sapendo qual è il contributo di ciascun attore per il benessere della collettività. Il secondo riguarda la disponibilità a maturare forme di “attivazione capacitante”. Nei due volumi legati al progetto “Welfare responsabile” (Cesareo 2017; Cesareo, Pavesi 2019), abbiamo definito l’attivazione capacitante come la mobilitazione delle potenzialità delle persone attraverso l’impegno, la riflessività e, quindi, la responsabilità. Senza la disponibilità dei docenti, studenti e, in molti casi, anche dei genitori, ad acquisire in tempi record competenze nell’uso degli strumenti della didattica a distanza (e-learning), probabilmente la scuola si sarebbe fermata completamente, determinando non solo ripercussioni rispetto alla continuità di apprendimento, ma anche in relazione alle possibilità dei più giovani di essere impegnati in attività in grado di ridurre i disagi legati all’interruzione delle relazioni sociali in presenza. Questo è, tuttavia, solo uno dei tanti possibili esempi.

L’attivazione degli attori sociali

Gli strumenti digitali stanno rappresentando nella quasi totalità delle situazioni i supporti attraverso cui si manifesta l’attivazione capacitante dei diversi attori che, mediante un processo di mobilitazione e responsabilizzazione, si rendono utili a farsi carico di un contesto mutato in cui è necessario operare a distanza: dalle parrocchie che rendono disponibili momenti comuni di preghiera agli psicologi che offrono servizi di teleconsulenza, passando dalle palestre che inviano filmati per gli allenamenti quotidiani a casa per ridurre la frequentazione di parchi. I servizi digitali si moltiplicano: a esempio, molte aziende e ad enti culturali mettono a disposizione servizi di cinema in streaming o visite virtuali ai musei. Complice il tempo del lavoro liberato, sono molti i cittadini che, spontaneamente e gratuitamente, condividono le loro competenze registrando e pubblicando sui social media brevi filmati in cui insegnano piccole abilità, dalla costruzione dei giochi montessoriani per rafforzare le capacità di resilienza dei bambini alla preparazione di ricette “home-made” che consentono, a partire da pochi ingredienti, di ridurre i viaggi ai supermercati. L’attivazione capacitante insita in queste nuove forme di socialità e impegno contribuisce così a promuovere lo sviluppo di capitale sociale, di legami reticolari, della capacità di esprimere i bisogni e di dare a essi risposta (Cesareo, Pavesi 2019).

Le diseguaglianze sociali

Tuttavia, non si può celare come l’emergenza sanitaria abbia contribuito a rendere più evidente la presenza di diseguaglianze sociali che si manifestano attraverso forme di divario tecnologico. In tempo di pandemia, se è vero che il rischio COVID-19 è “democratico” dal punto di vista delle probabilità di contagio, non è altrettanto vero che tutti i cittadini hanno gli stessi strumenti per far fronte alle conseguenze non sanitarie del virus. Coloro che meglio sanno utilizzare i dispositivi tecnologici – per apprendere, lavorare, comunicare, informarsi, relazionarsi o gestire le attività della vita quotidiana, come fare la spesa online o prenotare una ricetta medica telematica  o che dispongono di maggiori dotazioni tecnologiche e infrastrutturali (ad esempio, un collegamento attraverso banda larga alla Rete, adeguati spazi domestici, presenza di periferiche collegate ai computer), stanno dimostrando di poter meglio gestire la crisi. Non si tratta di sviluppare competenze e acquisire strumenti solo a livello dei singoli attori, quanto a livello sistemico, ovvero all’interno di enti pubblici, privati e di Terzo settore. Ecco perché riteniamo che nell’agenda del Welfare Responsabile il tema della riduzione del digital divide debba rappresentare una priorità ineludibile per poter promuovere la responsabilizzazione e l’attivazione capacitante di tutti gli attori.

Riferimenti bibliografici

Beck U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci Editore, Roma (ed.: orig. 1986)
Beck U. (2003), La società cosmopolita, il Mulino, Bologna.
Cesareo V. (a cura di) (2017), Welfare responsabile, Vita & Pensiero, Milano,
Cesareo V., Pavesi N. (a cura di) (2019), Il welfare responsabile alla prova. Una proposta per la società civile, Vita & Pensiero, Milano.

Immagine: Persone foto creata da freestockcenter – it.freepik.com

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